Giacomo Becattini, due ricordi (di C. Perrotta e K. Caldari)

Cosimo Perrotta

Giacomo Becattini, venuto a mancare qualche mese fa, viveva il suo forte impegno culturale e civile in modo sereno e operativo, con instancabile curiosità intellettuale. Quello che mi colpiva di lui era il senso della scienza economica come “scatola degli attrezzi” per migliorare gli uomini. Gli uomini, non l’uomo. Senza perdere niente del rigore analitico, Giacomo era capace di trasformare i rapporti di produzione in rapporti di lavoro, e i rapporti di lavoro in rapporti umani.

Aveva un senso così concreto del suo modello ideale, il distretto produttivo, che l’elemento utopico vi si affacciava come una cosa ovvia. Il suo era un distretto dei mestieri e delle professioni; dell’innovazione empirica guidata da spirito critico. Era anche un distretto in cui la concorrenza si coniuga con la solidarietà, sia professionale che sociale.

Ascoltare Giacomo era per me ogni volta come una boccata di ossigeno, un incoraggiamento a liberarmi del pessimismo incombente. Anche per me è stato un maestro, come lo è stato per tanti altri. Coniugando perfettamente rigore logico e sensibilità umana, Giacomo esercitava una grande attrazione empatica presso chi lo ascoltava o lo leggeva.

Quello di Becattini era il destino di una generazione, quella nata poco prima della guerra. Questi uomini erano pieni di entusiasmo e di generosità; ma anche di rigore e professionalità; di amore per la cultura e di amore per la società. Il loro era un impegno intellettuale e morale allo stesso tempo. Probabilmente non sapevano concepire le due cose come separate.

(tratto da “La vita come impegno (ricordando Umberto Cerroni, Giacomo Becattini e Valentino Parlato)”, articolo di Sviluppo Felice del 5 maggio 2017)


Katia Caldari

Se n’è andato lo scorso gennaio, Giacomo Becattini, nella sua casa di Scandicci, dove da molti anni passava quasi tutte le sue giornate, invalidato da una lunga malattia che gli ha impedito sempre più anche i più semplici movimenti fisici. Sottolineo fisici perché invece la vitalità mentale la curiosità intellettuale il gusto della conoscenza e della ricerca questi non l’hanno mai abbandonato. Ed infatti più che della sua immobilità fisica negli ultimi anni era molto più preoccupato di un problema agli occhi che temeva potesse impedirgli di leggere scrivere e comunicare via email.
Becattini, lo abbiamo anche recentemente visto nei numerosi articoli scritti in occasione della sua morte, è noto per essere stato il padre dei distretti industriali, colui che ha avviato in Italia lo studio delle piccole medie imprese, dell’economia delle reti, dello sviluppo locale. In questo ambito va ricordato ad esempio che dal 1968 al 1973 è stato presidente dell’IRPET (Istituto Regionale per la Programmazione Economica della Toscana) che ha definito “l’esperienza umana e di ricerca più importante della mia vita” e che è diventato centro di riferimento internazionale per lo studio dei distretti industriali e dell’economia regionale. Oppure che nel 1991 ha avviato quello che Becattini amava chiamare “la libera scuola di Artimino” dove organizzava giornate di studio sui temi dello sviluppo locale (made in Italy, sviluppo del sud) e da cui poi ha fatto nascere anche la rivista “sviluppo locale”. Ma ovviamente molti altri importanti contributi potrebbero essere ricordati perché la ricerca applicata “lo sporcarsi le mani” come usava dire Becattini è sempre stata a fondamento del suo lavoro di economista e di studioso.

Ma Becattini è stato anche e prima di tutto uno storico del pensiero economico se con questo termine intendiamo chi pone a fondamento delle proprie riflessioni di economista una profonda e ricca conoscenza dei testi degli economisti del passato ma anche di materiale di archivio. L’importanza centrale dello sporcarsi le mani non sta infatti solo nella raccolta di dati e nelle ricerche empiriche ma anche nella polvere delle ricerche d’archivio. Per lui sempre un lavoro essenziale.
Questo ci porta ad un secondo grande contributo per il quale Becattini va ricordato, la riscoperta di Alfred Marshall, con una interpretazione del suo pensiero ben diversa da quella che era stata preponderante fino ad allora. È la “scoperta di un altro Marshall” che Becattini fortemente promuove a partire dalla pubblicazione della traduzione italiana di Economics of Industry nel 1975 per l’ISEDI in cui egli “invita a una rilettura di Marshall”: in Marshall Becattini vede numerose “anomalie”, anomalie secondo la lettura data tradizionalmente, ma che divengono per lui fonte importante di ispirazione: è del resto proprio in Marshall che Becattini trova la prima concettualizzazione di distretto industriale e che riprende e sviluppa prima nel suo “Dal settore industriale al distretto industriale” pubblicato nel 1979 e poi in diversi scritti successivi soprattutto nell’articolo “Riflessioni sul distretto industriale marshalliano come concetto socio-economico” del 1989.

La riscoperta di Marshall è, però, particolarmente incentivata proprio dalla ricerca d’archivio che ha portato alla luce molti manoscritti che ancora non erano conosciuti. Manoscritti preziosi, tra cui uno, importantissimo per l’evoluzione degli studi marshalliani. Becattini aveva trovato questo manoscritto nel 1970 nell’archivio della Marshall Library e lo aveva fotocopiato su autorizzazione di Piero Sraffa, a quel tempo bibliotecario della library. Di questo manoscritto aveva intuito la portata senza però comprenderlo fino in fondo perché relativo ad un argomento a lui non troppo familiare: “avvertii – ricorda – l’importanza di quel blocco [di manoscritti] … ma la [loro] lettura mi si presentò subito impervia. Come decifrare con la mia preparazione i riferimenti espliciti e cogliere quegli impliciti ad un dibattito filosofico inglese degli anni 50 e 60 [dell’800] … ed estrarre da quelle discussioni specialistiche qualcosa che gettasse la luce sul Marshall economista?”. Quel manoscritto lo tenne in un cassetto fino a che – così raccontava – nel 1987 non trovò un ricercatore di filosofia che accettò di lavorare all’interpretazione di quel testo: il manoscritto era Ye Machine e il ricercatore Tiziano Raffaelli. Da questo momento inizia una preziosa collaborazione tra Becattini Raffaelli e Marco Dardi da cui scaturisce una serie di pubblicazioni: dalla nascita del Marshall Studies Bulletin nel 1991 all’Elgar Companion to Alfred Marshall del 2006 a The impact of Alfred Marshall ideas: the global diffusion of his work del 2010.

Ho avuto la fortuna di avere Becattini, insieme a Tiziano, come mio relatore per la tesi di dottorato. È stato Becattini a insegnarmi l’importanza dello sporcarmi le mani con la polvere d’archivio facendomi perfino ripescare del materiale che solo lui sapeva che c’era e dov’era – non il direttore della biblioteca non l’archivista della Marshall Library-; mi ha insegnato il valore di esplorare in profondità ben oltre i testi pubblicati soprattutto davanti a interpretazioni semplicistiche e superficiali date ad autori complessi com’era appunto nel caso di Marshall. Mi ha insegnato l’importanza della multidisciplinarietà che mai chi si occupa di economica dovrebbe dimenticare.

Ho passato molte ore a chiacchierare con Becattini nel suo salotto di Scandicci. Si parlava di Marshall ovviamente ma anche e molto di Cambridge. Becattini ricordava di aver avuto, la prima volta che era stato a Cambridge nel 1963, una sorta di “sindrome di Stendhal”, quasi da perdere i sensi. Cambridge per molti anni è stato il suo rifugio, ed è un luogo che ha sempre amato molto e che ogni volta ne parlava, soprattutto negli ultimi anni, gli brillavano gli occhi per l’emozione e la profonda gioia.

Si parlava anche della vita in quel salotto di Scandicci, della sua crudeltà, della sua magia; si parlava di politica e anche dei “brigidini”, di cui era molto goloso.

Becattini aveva spesso dei modi severi a tratti ruvidi, ma poi sapeva anche sorprenderti con una improvvisa ed inattesa dolcezza, con un inatteso sorriso affettuoso carico di tenerezza. Quel sorriso insieme ai tanti insegnamenti lo porterò sempre con me, come credo tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscere un po’ da vicino Giacomo Becattini.